"Il fatto è che il nostro maggioritario ha aggravato la nostra frammentazione partitica, dal che consegue che abbiamo un sistema elettorale che inevitabilmente produce poli e coalizioni di governo scollati, e quindi inefficienza di governo". Ha ragione Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 11 giugno 2003) quando afferma che il nostro sistema maggioritario ha aggravato la frammentazione partitica; sbaglia, invece, quando afferma che esso "inevitabilmente" produce poli e coalizioni e di ciò incolpa il "mattarellum". Anche a noi non piace l'ibrido "maggioritario/proporzionale": siamo decisamente per il maggioritario uninominale a turno a unico. Resta il fatto, però, che in nessun rigo della legge elettorale è possibile trovare un sia pur vago accenno a poli e coalizioni, che restano un espediente tutto italiano e senza alcun riscontro in qualsiasi altro paese al mondo. E' vero che la quota proporzionale fa sì che qualche partito minore ricerchi la sua ragion d'essere nel conseguimento di quel 4% che gli consenta di mandare qualche parlamentare in Parlamento. Il problema vero, però, non sta lì ma nel modo in cui i partiti di destra e di sinistra interpretano ed applicano le regole del maggioritario: è un problema di "etica della democrazia". In nessun paese di tradizione anglosassone - è lì che nasce il maggioritario - i partiti politici oserebbero mai presentarsi agli elettori con simbolo, candidato e programma diversi dal proprio e frutto di accordi di coalizione con altri partiti. Neppure nei diciotto anni di egemonia della "Lady di ferro", i suoi più accaniti oppositori - liberali e laburisti - hanno mai presentato candidati comuni nei singoli collegi per battere il candidato conservatore. Questa è quella che noi chiamiamo "etica della democrazia liberale": un'etica che, prima che ai partiti, appartiene alla civiltà degli elettori che non tollerebbero un simile pastrocchio. Ora, in Italia, "civiltà liberale" ed "etica della democrazia" sono beni scarsi, anzi scarsissimi; allora - in assenza di "common law" - non resta che ricorrere alla legge scritta. Ci piacerebbe vedere inserita nella nostra legge elettorale maggioritaria una norma che vieta i "cartelli elettorali", altrettanto invisi ai liberali come quelli relativi alle imprese e già vietati dal nostro ordinamento giuridico. Non ci sarebbe più alcun ricatto dei partitini nei confronti dei partiti maggiori: "inevitabilmente" sparirebbero dai collegi uninominali e, forse, non troverebbero neppure più alcuna ragione di contendersi la quota proporzionale del 25% del Parlamento. In ogni caso, le maggioranze parlamentari ne uscirebbero rafforzate e con esse la governabilità: soprattutto, sapremmo a chi imputare, nel bene e nel male, le responsabilità di governo del Paese.
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