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Quando si pose la scelta definitiva tra la tradizione legittimante con i suoi valori risorgimentali lo Stato retto dallo statuto Albertino, e la rivoluzione fascista legittimata dal discorso del 3 gennaio 1925 e dalle leggi speciali; Armando Zanetti e Adolfo Tino tennero il proprio antico posto: Prima ancora di Croce, del suo « qui sto io», si pose Rinascista Liberale. |
Quando si pose la scelta definitiva tra la tradizione legittimante con i suoi valori risorgimentali lo Stato retto dallo statuto Albertino, e la rivoluzione fascista legittimata dal discorso del 3 gennaio 1925 e dalle leggi speciali; Armando Zanetti e Adolfo Tino tennero il proprio antico posto: Prima ancora di Croce, del suo « qui sto io», si pose Rinascista Liberale.
Testimonianza preziosa di dibattito politico, di alto intendimento morale la rivista offerse esempio di civile coraggio alla pari di tutto il giornalismo militante liberale che allora, come col Risorgimento di Cavour e con la stampa clandestina vent'anni più tardi, testimoniò la valida presenza liberale nei momenti alti della storia della Patria.
La stampa militante liberale, tra il 1922 e il 1925, trovò in Italia del Nord nella figura di Bruno Minoletti l'animatore più vivo.
Il settimanale dei giovani liberali milanesi, L'Avvenire, periva di stenti dopo aver combattuto dalla Marcia su Roma il regime nascente, con l'appoggio di Luigi Albertini, Bortolo Belotti e Gian Battista Boeri. Era diretto da Sandro Ruggero che tentò le vie dell'esilio in Argentina, dove si spense ammalato ed in gravi ristrettezze economiche, dopo aver dato vita ad una organizzazione italiana. All'Avvenire collaborò tra gli altri, Bruno Minoletti che, per pochi mesi, fu segretario dei giovani liberali milanesi nel 1922.
Chiuso l'Avvenire, Minoletti con Ernesto Cattaneo ed Emanuele Ortolava pubblicò il foglietto semiclandestino « Senza Tregua» che durò alcuni mesi. La difficoltà di condurre la critica politica, aperta e senza travisamenti, quella difficoltà che aveva indotto a polemica Piero Gobetti contro il gruppo milanese del Caffè, convinse i redattori di « Senza Tregua» a cercare rifugio nella storia del risorgimento per propagandare gli ideali di libertà. Con l'appoggio di eminenti personalità liberali, da Francesco Ruffini a Marcello Soleri, da Teofilo Rossi ad Emanuele Sella, dal Maresciallo Giardino al generale Emilio Bertetti al Sen. Ugo Da Como (ricorda Minoletti che Caviglia, interpellato, ricusò ogni collaborazione dicendo di avere « troppa carne al fuoco») si approntò la rivista di studi risorgimentali « L'Ottocento Nazionale », che venne stroncata dopo il primo numero, dedicato a Quintino Sella ed a Goffredo Mameli. Assieme a Minoletti, collaborarono all'« Ottocento Nazionale» Nicolò Cuneo, morto in campo di concentramento tedesco, e Carlo Alberto Biggini che in seguito aderì al fascismo. . .
La città che accolse al Nord l'organizzazione liberale e la sua ultima espressione di vita giornalistica fu Genova. Il gruppo di Rivoluzione Liberale a Torino perdeva nel tardo 1925, drammaticamente, la guida di Gobetti, in esilio a Parigi dove vi moriva; a Milano il Caffè chiudeva nel luglio 1925; a Roma «Rinascita Liberale» vedeva la luce per l'ultima volta, seguita da regolare sequestro, nel giugno 1925; in Campania Giovanni Amendola vedeva crollare tutto l'edificio della propria attività. Nel 1926 attorno alla «Gazzetta di Genova », mensile, diretta da Umberto C. Cavassa ed alla Direzione Nazionale del PLI, affidata ad Emilio Borzino, in Galleria Mazzini, si strinsero le figure dell'ultimo liberalismo militante, che nel 1943 ritroveremo intese a dar vita al movimento liberale od al movimento giellista.
Poco prima a Biella anche l'altro giornale liberale, la « Tribuna Biellese », aveva cessato le pubblicazioni.
L'estremo tentativo di dare vita ad una voce liberale «Le Pietre », fu compiuto tra il 1926 ed il 1928 da un gruppo di giovani genovesi, con contatti milanesi, che venne sciolto dopo una vasta serie di arresti, dal questore di Genova, Prof. Bruno.
Collaborarono a questo gruppo assieme al Minoletti, Franco Manzitti che ospitò in casa la redazione della rivista « Le Pietre », ed altri liberali, tra cui Umberto Segrè, Enrico Alpino, C. A. Biggini, Tito Rosina, Vittorio Tedeschi, Giuseppe Rensi, Leone Cattani.
Animatore della stampa liberale a Roma, e quindi in Francia ed in Belgio dove cercò in volontario esilio la possibilità di manifestare le proprie idee, fu Armando Zanetti.
Trentenne corrispondente in Russia del grande organo romano liberale « Il Giornale d'Italia », fu tra i primi a combattere decisamente il bolscevismo denunciando la gravità del pericolo che esso costituiva per la civiltà europea.
Di tendenza nazionalista, si staccò da questo movimento quando fiancheggiò il fascismo ed aderì al Partito Liberale. Il 10 maggio 1924 in una conferenza nella sede del Gruppo Giovanile Liberale, in via del Tritone 183 a Roma, chiariva i motivi della propria adesione al liberalismo militante raccogliendo quindi nell'opuscolo «Dal nazionalismo al liberalismo» il testo del proprio discorso in cui chiamandosi monarchico e conservatore, ribadiva la fede nell'indispensabile presenza per l'avvenire del popolo italiano della libertà.
Nel luglio di quell'anno Armando Zanetti, assieme ad Adolfo Tino, preparò la rivista di dibattito politico « Rinascita Liberale » che doveva vedere la luce a dicembre.
Albertini, presente in ogni. circostanza in cui si muovessero fermenti liberali, aiutò concretamente questa iniziativa.
Mentre si profilava. la. possibilità di un'intesa tra i leaders delle grandi correnti liberali da Giolitti, ad Orlando, a Salandra tale da consentire al sovrano di riportare allo Statuto la vita politica ricostruendo una solida maggioranza in parlamento cui le correnti moderate socialiste e popolari avrebbero potuto dare appoggio, la secessione aventiniana tolse ogni carta all'esitante Sovrano e contribuì a rinsaldare una maggioranza che divenne totalitaria.
La polemica anti-aventiniana di « Rinascita Liberale» portò Zanetti e Tino ad una dura spiegazione con Giovanni Amendola che si risolse in una nobile pagina giornalistica conservata sulle colonne della rivista.
La consapevolezza della sterile inanità della protesta morale dell'Aventino, indusse a contrasti gli stessi aventiniani. Il compianto Raffaele De Caro stanco di attendere andò un giorno tra i colleghi dell'Aventino e, mostrando due rivoltelle nella cintola dei pantaloni disse: «Ritorniamo in aula». L'Aventino, utile se una reale forza di popolo scatenando la rivoluzione avesse inalberato su picche giacobine una nuova legittimità di potere, si mostrò affatto incapace di ogni reazione costruttiva e completamente slegato da un popolo che altri, nella rapida mutevolezza di gesti e parole, meglio aveva compreso e strappato all'antica classe politica liberale, socialista, radicale. I cattolici, col loro silenzio inteso a cogliere frutti lontani, i comunisti, scavalcati in realtà dalla vigile real-politik di Mosca, già intesa ad accordi con Mussolini, non costituivano ostacoli per un regime giovane, violento, certo della propria vittoria, con i quadri addestrati per un quadriennio nelle trincee.
Giolitti attese invano. Eugenio Artom gli disse che se gli aventiniani fossero tornati in aula « sarebbero corse pistolettate ». Giolitti assorto rispose che il coraggio per un uomo politico è come il coraggio di un medico: dovere professionale. Osservò, allora Artom che ci sarebbe potuto « scappare il morto in aula ». Giolitti d'un tratto si animò ed esclamò: « Se ci sarà un morto in Parlamento, le elezioni le farò io ed allora vedremo come andranno a finire! » .
Sei mesi prima il povero corpo di Matteotti non era stato sufficiente a rovesciare Mussolini. Le speranze di Giolitti non potevano tradursi in realtà, la occasione non si sarebbe più ripresentata. Con il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, non vi furono più dubbi. Il fascismo non fu più lo scatolone il cui contenuto era pur sempre liberale, come .riteneva Giuseppe De Capitani d'Azago nel 1922, ma un modo nuovo di intendere i valoti della vita.
Per sei mesi « Rinascita Liberale» continuò la propria battaglia: ogni numero venne sequestrato.
D'accordo con Albertini, con il n. 12 del giugno 1925, Zanetti e Tino si accomiatavano dai propri lettori. Armando Zanetti si era già dimesso nel 1925 dal « Giornale d'Italia », nel 1926 si dimetteva anche dal quotidiano torinese la « Stampa », dopo che i due grandi organi delliberalismo italiano erano stati espropriati dal fascismo.
Quindi per Zanetti cominciò il proprio lungo volontario esilio, dominato dal pensiero della libertà d'Italia, che nei venti anni che seguirono si compenetrò col pensiero dell'unità e libertà dell'Europa.
(testo tratto dalla parte storica introduttiva dell'opera "Il PLI dal XIII al XIV Congresso Nazionale", Vol. I°). |
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