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Il senso della collaborazione liberale alla « Ricostruzione » di Bonomi ed i rapporti con questo socialista riformista maturato al liberalismo democratico (1) si chiariscono con la lettura della corrispondenza scambiata alla vigilia dell'8 settembre tra Bonomi ed Anton Dante Coda, il futuro delegato per l'Alta Italia del PLI. |
Alla vigilia di lasciare Roma per il Nord, dove sarebbe divenuto l'animatore della resistenza politica e militare liberale, Coda inviò una lettera a Bonomi in cui chiariva come le forze liberali fossero costrette a costituirsi in movimento politico, dopo l'affrettata costituzione del Partito della Democrazia del Lavoro che aveva reso impossibile l'unità di tutte le forze di democrazia liberale attorno a Bonomi, riconoscendo in lui il massimo esponente.
« Come non spiegare se, di fronte a tale frazionamento inutile e dannoso, molti elementi giovani disgustati, preferiranno lasciare democratici e liberali, per inquadrarsi altrove là dove le formule sono più drastiche e più allettanti? ».
«In ogni caso - concludeva Coda - l'augurio che Ella non sia l'uomo di questo o di quel gruppo, ma indistintamente il Capo di tutti come per il passato... che... possa in un non lontano domani richiamare gli italiani di fede liberale e democratica all'unione ed al fecondo lavoro per il bene del Paese (2) ».
La risposta di Bonomi è immediata: «Roma, 8 agosto 1943. Caro Coda, l'ora non è la più propizia per parlare di partiti, i quali, non essendo ancora consentiti, non possono andare più in là della fase preparatoria ».
« Come Ella osserva si profila già nel campo medio - fra socialisti e cattolici - una democrazia del lavoro, una Democrazia liberale, una Ricostruzione liberale (il nome è sorto spontaneamente a Milano) e, in più, un già esistente Partito di Azione che recluta i suoi aderenti nelle stesse classi sociali e nelle stesse sfere intellettuali ».
« Forse questa molteplicità di correnti era inevitabile dopo tanta forzata astinenza. Ma io confido che dopo questo periodo non inutile di chiarificazione e precisazione d'idee, si possa, intorno ad alcuni grandi problemi, rifare l'unità di tutte le forze medie ed equilibratrici, le quali certo saranno chiamate ad un formidabile compito di ricostruzione nazionale (3) ».
«Quanto alla sua preghiera - la stessa che mi è stata fatta da moltissime parti - l'assicuro che io non sarò l'uomo di questo o di quel gruppo, ma resterò al di sopra delle varie correnti a rappresentare (ed io la ringrazio delle sue lusinghiere parole) l'unità spirituale di quel movimento che ebbe in "Ricostruzione" la sua felice espressione, e la sintesi delle correnti antifasciste che si sono coalizzate. Con affettuosi memori saluti. Aff. Ivanoe Bonomi (4) ».
Questi buoni rapporti tra il PLI e Bonomi valsero nuovamente in dicembre ad evitare una rottura nel Comitato Centrale di Liberazione Nazionale tra i liberali e le altre forze politiche sul problema istituzionale.
In sostanza Nicolò Carandini, in rappresentanza del PLI, si era detto favorevole alla formula dell'assemblea costituente più abdicazione desiderando i liberali « una monarchia pulita e non un cencio sporco come l'attuale sovrano » per potere difendere eventualmente il principio monarchico nella futura costituente (5).
Nella riunione del CCLN del 16 ottobre, presente Casati per i liberali, soprattutto per la tendenza moderata e realistica del comunista Scoccimarro il problema della figura del Re era stato accantonato demandando al popolo, al cessare delle ostilità, la decisione sulla forma istituzionale dello Stato (6).
Tale posizione era confermata dalla riunione del CCLN del 17 novembre, sempre presente Casati per i liberali, nella quale si era ratificato l'accordo sui compiti delle forze armate reclutate dai sei partiti, il rifiuto di Bonomi del 15 ottobre al Re ad entrare nel Ministero Badoglio in conformità dell'ordine del giorno del 16 dello stesso mese, senza, però, che Bonomi stesso avesse posto e richiesto « sostituzione di persona nel monarcato italiano », così come le impazienze liberali volevano e come lo stesso Comitato napoletano aveva richiesto in via preliminare.
La posizione liberale venne riferita 1'8 dicembre da Casati a Bonomi che nello stesso giorno scrisse a Carandini, il più intransigente tra i dirigenti liberali che richiedevano l'abdicazione di Vittorio Emanuele III, una lunga e circostanziata lettera (7).
« Comprendo - scriveva Bonomi - anche che molti uomini che hanno professato idee monarchiche si preoccupino di portare al giudizio del Paese un istituto monarchico scevro di responsabilità e non un istituto gravato da insanabili colpe... ». «Ma se i liberali - proseguiva Bonomi - adottano anch'essi la pregiudiziale dell'abdicazione, come procedere alla costituzione di un nuovo governo? E non sarà l'atteggiamento dei liberali un incentivo dei partiti estremi a raccogliere e far propria la formula "assemblea costituente più abdicazione", che è una formula più radicale e quindi più consona allo spirito rivoluzionario di quei partiti? ».
A fine dicembre Bonomi ha ripetuti contatti con Manlio Brosio per l'unificazione delle bande armate e con lo stesso Carandini che risponde agli interrogativi della sua lettera sia in un colloquio che in una lunga memoria del 15 dicembre (8).
La memoria di Carandini è a titolo personale, ma rispecchia l'opinione della «Ricostruzione Liberale» di Roma, in linea con le tesi napoletane, in quanto tutti i liberali erano d'accordo sull'abdicazione del Re e su di un referendum per decidere sulla forma istituzionale dello Stato, per ovvia inclinazione i liberali di indirizzo repubblicano, per calcolo di opportunità quelli di indirizzo monarchico, desiderosi di giungere con un nuovo Sovrano, non compromesso e discusso come il precedente, all'auspicato giudizio popolare.
Carandini chiede innanzitutto chiarezza e precisione di termini a tutti i partiti del CCLN alla stessa stregua del linguaggio chiaro e preciso usato dal PLI. In caso contrario non può che ispirare una profonda sfiducia: « una consociazione di partiti fondata su un vasto occultamento formale di inconciliabili dissensi, anziché su una ristretta e palese accettazione di limitati punti di accordo proclamabili e sostenibili al di fuori di ogni riserva ».
Definiti elusivi i documenti del 16 ottobre e del 17 novembre del CCLN, Carandini riconosce l'ottimo movente d'opportunità: «a svalutare il significato della permanenza al trono di Vittorio Emanuele III ed a considerare questa evenienza come una possibilità accettabile, e persino auspicabile ».
« Se il Re non avverte - scrive Carandini - il supremo dovere di adattarsi a questo personale sacrificio, se anche intende imporre con le forze militari di cui dispone e con l'aiuto degli Alleati la sua presenza al trono, non per questo sorgerà in noi il dovere di avallare con la nostra acquiescenza, qualunque ne sia la opportunità politica contingente, un atto di forza il quale trascinerebbe in un insanabile discredito l'istituto monarchico e potrebbe, esso sì, indurci a combatterlo in difesa di quella rivendicazione dei diritti popolari di fronte a cui scade per noi questione di preferenza istituzionale ».
Quindi il rappresentante liberale nega ogni condiscendenza a tesi estremistiche e dittatoriali: « Non vogliamo un governo di coalizione dittatoriale che sotto la pressione dei suoi più audaci elementi possa instaurare di sorpresa la Repubblica trascinando il Paese impreparato o assente ad una forma istituzionale di carattere rivoluzionario; non vogliamo, a egual ragione, un Monarca il quale, assuefatto ad una costante infrazione dei suoi impegni costituzionali, possa mantenere sul Paese la minaccia, non inverosimile, di far uso delle prerogative che gli saranno state conservate, o che potrà con la forza riassumere, per prevenire con un colpo di Stato le velleità popolari di riforma istituzionale. Vogliamo che questi due poteri si fronteggino efficacemente per controbilanciarsi e condurre il Paese in ordine e in libertà al giorno in cui gli sarà dato decidere delle proprie sorti ».
Così conclude Carandini, riconoscendo i motivi a favore dell'avvicendamento del Re, che potrebbe assicurare: «"al Paese" la necessaria garanzia di neutralità così del potere regio come di quello governativo in attesa di nuovi atti costituenti; "alla monarchia" un minimo di ascendente che le permetta di presentarsi non condannata in anticipo al giudizio della nazione; "alle correnti repubblicane" la possibilità di realizzare il loro ideale non per imposizione di uno o più partiti, ma per la libera e consapevole scelta della nazione riunita ».
NOTE
(1) Un recente profilo di I. Bonomi è stato scritto da Luigi Cortesi come voc. del Dizionario Biografico degli Italiani e quindi ampliato nel volume: Ivanoe Bonomi e la socialdemocrazia italiana, profilo biografico. Salerno, Libreria Editrice Internazionale, 1971, pp. 145. Nella « secca» enunciazione della scheda si propongono accenni vivi di dibattito che aprono spunti di ricerca su questa figura del riformismo, vittima in tempi successivi del massimalismo socialista, impersonato dal Mussolini rivoluzionario del congresso socialista di Reggio Emilia del 1912; dal fascismo piazzaiolo e ministeriale, nuovamente impersonato da Mussolini; dalla partitocrazia post-fascista, impersonata da partiti democratici che subendo una nuova preclusione massimalistica sacrificarono a Parri il Presidente del Comitato Centrale di Liberazione Nazionale e primo Presidente del Consiglio della rinata Italia democratica.
(2) Archivio di Stato di Mantova, Carte Bonomi, E-V-1
(3) Atteggiamento questo di Bonomi lineare e coerente con la lontana scelta che lo portò a propugnare la lista dell'Unione Liberale Popolare per le elezioni comunali di Roma del 30 giugno 1907 di cui si era messo a capo conquistando l'Amministrazione Capitolina, mentre negli stessi giorni interveniva come relatore al convegno degli Amministratori locali del P.S.I. L'alleanza con i democratici costituì la costante della sua azione politica che nel 1912 lo portò a favorire l'intesa radical-socialista a Mantova e nelle elezioni del novembre 1919 lo vide protagonista del Blocco Intervenista composto da forze liberal-riformiste, combattentistiche e nazionalistiche. Il Blocco doveva garantire gli istituti democratici tramite il gradualismo di meditate riforme e contestare quella « violenza rossa» la cui denuncia in parte gli valse l'acerba critica di un Gobetti, nella sua intransigenza ideale così alieno dal temperamento empirico e dalla inclinazione collaborazionista del Bonomi, ma che ben si collegava alle dichiarazioni del 13 febbraio 1913 alla Camera in cui aveva affermato l'estraneità della propaganda socialista ai tumulti anarcoidi d'allora e aveva esaltato il suffragio universale come occasione per una « crociata contro la violenza che, dal basso e dall'alto, minacciava l'ordinato svolgersi della civiltà Italiana ».
In tale chiave si intende, nell'ondata massimalistica da cui il socialismo fu preso negli anni '20, la sua presenza nel Blocco anti-socialista nel maggio del 1921 da lui ispirato tra radicali, liberali, nazionalisti e fascisti. Alla mancata normalizzazione del fascismo, Bonomi rispose con la costituzione della Lega Democratica del dicembre 1923 i cui presupposti ritornano tra i motivi dell'azione Bonomiana nella vita della nuova Italia che lo portò dapprima alla guida del Fronte anti-fascista e quindi alla Presidenza del Consiglio. La « continua ricerca di un sistema di alleanze democratiche capace di inserirsi dinamicamente nella dialettica politica generale » notata da Cortesi, cit., è il motivo ispiratore della lettera del Collare della Annunziata a Coda e del suo ultimo atto politico, inteso a dare vita a quell'Unione Democratica Nazionale del 1946 nella quale confluirono liberali, demolaburisti e frazioni minori.
Unione che ebbe vita solo elettorale per l'estraneità ormai di tale soluzione al nuovo stato fondato sui partiti delineati e caratterizzati.
(4) La riposta di Bonomi a Coda fu sollecita, ma le parole attentamente pesate: una prima minuta, fitta di correzioni autografe (E.V.2/l) fu ricopiata in una seconda minuta (E.V.2/2) prima di essere dattiloscritta (E.V.2/3), le tre copie stanno in Carte Bonomi, Archivio di Stato di Mantova; l'originale della lettera è in Carte Anton Dante Coda, ISML, Bologna, cfr. CAMURANI Ercole, Profili: Bonomi e la socialdemocrazia. Sta in: TRIBUNA (La), Roma, a. XVII, n. 74, febbraio 1972, p. 46.
(5) BONOMI Ivanoe, Diario di un anno. Cit., pp. 137 e 139.
(6) BONOMI Ivanoe, Diario di un anno. Cit., p. 124.
(7) Archivio di Stato di Mantova, Carte Bonomi, E-X-1.
(8) Archivio di Stato di Mantova, Carte Bonomi, E.X.2.
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