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Il "Corriere della Sera" di oggi (29 ottobre 2003) pubblica un magistrale articolo di fondo di Sabino Cassese dal titolo IL NEOSOCIALISMO MUNICIPALE. In questo articolo Sabino Cassese rivela un aspetto, finora passato sotto silenzio, della nuova legge finanziaria e che la dice lunga sul grado di liberalismo di questo governo e di questa maggioranza, oltre che sulla sostanziale uguaglianza tra essa e l'opposizione di sinistra, in materia di liberalizzazioni.
Non una parola dell'articolo è fuori posto; non una osservazione trarrebbe vantaggio da una sintesi. Preferiamo, pertanto, proporre qui il testo integrale dell'articolo.
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Il Senato riscopre il socialismo municipale. Il cosiddetto decretone omnibus, in aula in questi giorni per la conversione in legge, esclude dalla liberalizzazione energia elettrica, gas, trasporti locali, trasporti a fune. Rinvia per tutti i settori la liberalizzazione al 2006, con ulteriori proroghe fino al 2008-2009. Stabilisce un particolare regime per le attività svolte «in house». Le prime due decisioni sono quelle destinate a produrre gli effetti economici più rilevanti. La terza è, invece, quella più singolare dal punto di vista giuridico. Si consente a enti pubblici locali di svolgere, attraverso società per azioni, in monopolio, ogni genere di attività, a condizione che gli enti locali esercitino sulle società un controllo analogo a quello svolto sui propri servizi e che le società realizzino la parte più importante della propria attività con l'ente pubblico.
È una formula ambigua e pericolosa. Si presta a molti abusi, per la sua latitudine. È presa in prestito dagli appalti pubblici e applicata ai servizi pubblici, un settore al quale è logicamente estranea. Fornisce un altro esempio dell'abuso della società per azioni e del diritto privato, da parte della pubblica amministrazione.
Le disposizioni del cosiddetto decretone sui servizi pubblici locali iniziano bene, affermando che le modalità di gestione e affidamento dei servizi debbono assicurare la tutela della concorrenza. Continuano bene, prevedendo gare, sia per l'assegnazione dei servizi, sia per la scelta dei soci privati. Ma terminano male con eccezioni, deroghe e sotterfugi, per conservare, e anzi ampliare, il già troppo vasto e spesso mal gestito settore pubblico locale.
Perché questo neo socialismo municipale - temo voluto da destra, ma gradito a sinistra - è pericoloso? Esso produce un ordinamento schizofrenico. Lo Stato diventa leggero al centro, pesante alla periferia. Le imprese pubbliche nazionali vengono privatizzate e i settori dominati da monopoli legali liberalizzati, così rispondendo al diritto comunitario. Invece, in periferia si lasciano vivere imprese pubbliche e si consente la loro espansione, nonostante che nel 2000 e nel 2002 la Comunità europea abbia messo in mora l'Italia, richiedendo rapidi smantellamenti di monopoli locali e vendite delle imprese, per lasciare il potere pubblico locale nel ruolo di regolatore.
Contro l'indirizzo dell'Unione Europea, si conserva ed anzi si estende la gestione pubblica locale. E questo nel momento più pericoloso. Infatti, in questi anni, i poteri locali hanno guadagnato autonomia finanziaria e si sono liberati di controlli esterni (ciò che era auspicato da molti). Ma essi si trovano, ora, in una fase di passaggio. Hanno mezzi ed autonomia, ma non si sono ancora dotati di strutture interne capaci di controllare la spesa e la gestione.
Lo spostamento del baricentro e l'allargamento della sfera pubblica locale, dunque, non solo sono contrari agli indirizzi comunitari e all'orientamento nazionale, favorevoli alla dismissione delle gestioni pubbliche dirette, ma vengono in un momento di passaggio particolarmente delicato di Comuni e Province. Non vorremmo che si ricreassero in periferia quei bubboni (basti ricordare l'Efim) di cui con tanta difficoltà e con così alti costi ci siamo liberati al centro.
della nuova finanziaria finora passato silenzio
Il Senato riscopre il socialismo municipale. Il cosiddetto decretone omnibus, in aula in questi giorni per la conversione in legge, esclude dalla liberalizzazione energia elettrica, gas, trasporti locali, trasporti a fune. Rinvia per tutti i settori la liberalizzazione al 2006, con ulteriori proroghe fino al 2008-2009. Stabilisce un particolare regime per le attività svolte «in house». Le prime due decisioni sono quelle destinate a produrre gli effetti economici più rilevanti. La terza è, invece, quella più singolare dal punto di vista giuridico. Si consente a enti pubblici locali di svolgere, attraverso società per azioni, in monopolio, ogni genere di attività, a condizione che gli enti locali esercitino sulle società un controllo analogo a quello svolto sui propri servizi e che le società realizzino la parte più importante della propria attività con l'ente pubblico.
È una formula ambigua e pericolosa. Si presta a molti abusi, per la sua latitudine. È presa in prestito dagli appalti pubblici e applicata ai servizi pubblici, un settore al quale è logicamente estranea. Fornisce un altro esempio dell'abuso della società per azioni e del diritto privato, da parte della pubblica amministrazione.
Le disposizioni del cosiddetto decretone sui servizi pubblici locali iniziano bene, affermando che le modalità di gestione e affidamento dei servizi debbono assicurare la tutela della concorrenza. Continuano bene, prevedendo gare, sia per l'assegnazione dei servizi, sia per la scelta dei soci privati. Ma terminano male con eccezioni, deroghe e sotterfugi, per conservare, e anzi ampliare, il già troppo vasto e spesso mal gestito settore pubblico locale.
Perché questo neo socialismo municipale - temo voluto da destra, ma gradito a sinistra - è pericoloso? Esso produce un ordinamento schizofrenico. Lo Stato diventa leggero al centro, pesante alla periferia. Le imprese pubbliche nazionali vengono privatizzate e i settori dominati da monopoli legali liberalizzati, così rispondendo al diritto comunitario. Invece, in periferia si lasciano vivere imprese pubbliche e si consente la loro espansione, nonostante che nel 2000 e nel 2002 la Comunità europea abbia messo in mora l'Italia, richiedendo rapidi smantellamenti di monopoli locali e vendite delle imprese, per lasciare il potere pubblico locale nel ruolo di regolatore.
Contro l'indirizzo dell'Unione Europea, si conserva ed anzi si estende la gestione pubblica locale. E questo nel momento più pericoloso. Infatti, in questi anni, i poteri locali hanno guadagnato autonomia finanziaria e si sono liberati di controlli esterni (ciò che era auspicato da molti). Ma essi si trovano, ora, in una fase di passaggio. Hanno mezzi ed autonomia, ma non si sono ancora dotati di strutture interne capaci di controllare la spesa e la gestione.
Lo spostamento del baricentro e l'allargamento della sfera pubblica locale, dunque, non solo sono contrari agli indirizzi comunitari e all'orientamento nazionale, favorevoli alla dismissione delle gestioni pubbliche dirette, ma vengono in un momento di passaggio particolarmente delicato di Comuni e Province. Non vorremmo che si ricreassero in periferia quei bubboni (basti ricordare l'Efim) di cui con tanta difficoltà e con così alti costi ci siamo liberati al centro.
Sabino Cassese
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