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Adriano Olivetti: cultura come base dell'agire

Inserito da:

Data pubblicazione: 18.01.2004 12:07


A Centotre anni dalla nascita, "La Sentinella del Canavese", bisettimanale di Ivrea" dedica un numero speciale ad Adriano Olivetti. Tra i moltissimi articoli di grande interesse e che tratteggiano la figura, le idee, l'impegno di questo imprenditore illuminato, abbiamo scelto e proponiamo l'articolo di Renzo Zorzi dal titolo "Cultura come base dell'agire".

Uno scritto che abbia per tema "Adriano Olivetti e la cultura", quale mi è stato chiesto, dovrebbe, credo, coinvolgere non solo l'intero significato della sua azione intellettuale, ma si può dire la sua stessa esistenza più largamente umana che si è svolta interamente sotto il segno insieme di una vocazione incomprimibile a far convergere indirizzi culturali e necessità pratiche, a promuovere iniziative culturali ovunque se ne presentasse l'occasione.
O anche solo la possibilità, ma soprattutto ad affermare la priorità delle ragioni della cultura nel sistema sociale come base fondamentale dell'agire. Ma per appena approfondire questa affermazione, sarebbe necessario ben più che la nota che ora posso stendere al riguardo, lontano come sono da ogni possibilità di consultazione di carte, di controllo di riferimenti bibliografici e di ogni altra documentazione esistente. Nè forse un giornale è la sede più adatta per un'impresa del genere, che tuttavia giudicherei necessaria e per certi versi urgente, prima che ogni testimonianza orale si perda.

Per Olivetti infatti si dovrebbe applicare alla lettera il detto «Non sappia la tua destra quel che fa la sinistra»; molte infatti delle cose che fece non hanno avuto testimonianze scritte, e sono affidate alla memoria di chi per caso ne fu testimone.
Ciò non può essere discusso qui. Mi limiterò quindi a qualche annotazione personale, anche perchè i temi culturali nell'azione e nel pensiero di Olivetti vengono svolti partitamente dagli altri interventi di questo numero e dalla loro lettura completamente risulterà quel profilo non separabile che ne è stata la coerenza e il maggior significato.
Se dunque mi è permesso di riassumere, indicherò nei cinque punti che seguono il senso della sua presenza culturale.

1) Il suo pensiero politico. Anche se nessuno ne parla, sembra di poter affermare che una delle intuizioni maggiori, frutto della sua riflessione sulle necessità di un nuovo assetto da dare all'indomani del secondo conflitto mondiale, dell'esperienza del ventennio fascista e maturata sullo studio e la conoscenza diretta di comunità nazionali che si erano sviluppate su amplissime autonomie amministrative e politiche, sia stata la concezione federalista, a cui oggi tutti si ispirano, ma che in lui nasceva e si articolava in un sistema di istituzioni, di equilibri di poteri, di competenze e di, come egli la chiamava, "democrazia integrata", in cui si concretavano e trovavano composizione tutti i valori della convivenza sociale: una democrazia nata dal basso, in cui competenza e consenso, esigenze fondamentali dello stato moderno, potessero integrarsi, convivere e reciprocamente contribuire ad esaltare quel destino di libertà, di individualità e di socialità che è nell'essenza della coscienza umana. La costruzione di federalismo integrale che egli dette nell'Ordine politico delle comunità è forse troppo analitica e rigida, priva di background storico e di un impianto teorico, ma l'opera è un documento fondamentale, e dovrebbe costituire una base originale e un termine di riferimento per analisi, discussioni e iniziative volte a individuare i caratteri di uno stato autenticamente federalista.

2) Le sue idee sull'organizzazione sociale e in particolare sui problemi del lavoro, l'azione svolta con la rivista "Tecnica e Organizzazione", e in molti discorsi e articoli in particolare riferiti direttamente a temi e interventi di conduzione industriale. La rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni ha certamente cambiato su questi problemi i termini del discorso e rende oggi forse meno evidente l'ampiezza della sua visione economico-sociale, ma non ne ha distrutto il significato, e penso che, finita una certa retorica sfrenatamente liberistica (succeduta ad altra teorica di dirigismo altrettanto estremo) con l'economicismo a cui ha dato luogo, il valore, anche morale, dell'esigenza di una responsabilità sociale dell'impresa, del suo impatto sul territorio e delle sue implicazioni sul destino di molti uomini, dovrebbero venire ripresi e analizzati nel contesto del quadro storico che li ha prodotti, prendendo in particolare in considerazione il tipo della loro innovatività e significato.

3) Tra queste innovazioni va ovviamente considerata l'attenzione e la modernità di Olivetti in temi quali l'urbanistica, l'architettura industriale e sociale, il design dei prodotti, e tutti gli altri problemi della identità, comunicazione e presenza di impresa, su cui egli ha perseguito una linea di realizzazioni veramente e intellettualmente esemplari, riconosciute in tutto il mondo e che per decine di anni hanno posto la società Olivetti in posizione di avanguardia, di coerenza e di esempio costantemente avanzato. Su ciò non è necessario impiegare altre parole in aggiunta a quanto scrive in questo numero chi tratta specificamente il problema.

4) L'editoria. Il maggior impegno culturale di Olivetti si manifestò con le sue iniziative editoriali, principalmente le Edizioni di Comunità e la rivista "Comunità", in cui dette prova dell'originalità della sua posizione spirituale e della sua misura culturale, proponendo, per esempio, scrittori religiosi sempre di frontiera, da Mounier a Simone Weil, a Maritain, a Maritain, a Martin Buber, a Berdiaev e a molti altri, scoprendo e facendo conoscere in Italia decine di autori nel campo della scienza politica, dell'organizzazione sociale, dell'urbanistica, dell'architettura (oltre che con i libri, con le riviste "Metro-architettura", "Urbanistica" e "Zodiac"), nella filosofia, nell'organizzazione del lavoro, perfino nella poesia (con la rivelazione di un poeta quale Giacomo Noventa) ecc. Manca a tutt'oggi una storia critica di tali iniziative, ma basta sfogliare i cataloghi a suo tempo pubblicati per avere la prova della qualità del servizio culturale da lui reso al Paese con la pubblicazione di libri che mancavano, e che hanno illuminato tutto un periodo e ancora si continuano a ristampare. A ciò si aggiungano altre iniziative, di più specifico interesse, come quelle rappresentate dalla rivista "Selc-Arte", diretta da Carlo Ludovico Ragghianti, e i "crito-films" da lui prodotti, su figure, episodi, movimenti dell'arte e dell'urbanistica italiane.

5) L'azione di aiuto sostanziale e mai negato a imprese culturali, ad associazioni e attività, a convegni, a riviste e giornali che svolgessero un'azione culturale utile al rinnovamento delle idee e delle condizioni del Paese. Su questo terreno la sua presenza fu spesso di grande rilievo e meriterebbe di essere conosciuta, per mostrare a quante iniziative la sua generosità avesse permesso di sorgere, di vivere e perdurare (perfino la presenza pubblicitaria di Olivetti da lui voluta su molte pubblicazioni si svolse sotto questo segno e con questa intenzione), dalla creazione del primo "Espresso" ai periodici all'Einaudi, a una fedeltà costante a settimanali e mensili dalla vita stentata ma di significativa importanza culturale, agli stessi aiuti a intellettuali che gli si presentavano per illustrargli idee o proposte).

Non posso dilungarmi oltre. Non fu, mi pare che a distanza di quarant'anni dalla sua scomparsa e con l'esperienza di tutto quello che venne dopo, lo si possa ormai vedere con chiarezza, immune da errori: aver voluto, per ansia di affrettare i tempi, trasformare i centri comunitari da lui fondati da luoghi di dibattito e di esperienze sociali con fini, come egli diceva, metapolitici e di superamento degli schematismi e divisioni partitiche, cellule di incontri tra esperienze e competenze diverse, in basi di partenza per un intervento diretto nella vita politica partecipando direttamente alle sue vicende elettorali, fu certo un errore, un passo indietro rispetto a quello che il movimento di Comunità nelle sue stesse intenzioni avrebbe dovuto essere e potuto diventare. Ciò distolse da altri studi, resa meno comprensibili i suoi obiettivi, tolse chiarezza al suo rigore intellettuale. Forse le chiusure di quegli anni lo spinsero ineluttabilmente a quella decisione che si rivelò immediatamente un tentativo impossibile, tanto che, pochi mesi dopo la sua elezione alla Camera, se ne allontanò e quella fu la fine se non di tutto, certo dell'esemplarità dell'iniziativa che aveva promosso.
L'errore fu, credo, quello di pensare che fosse il Parlamento il luogo primario delle trasformazioni e delle riforme, che vi si dovesse comunque essere presenti e lavorare dall'interno, anzichè farvi pressione dall'esterno attraverso l'azione sociale, l'organizzazione della cultura, l'esempio di altre aggregazioni e forme di comunità. Tutto ciò è spiegabile ma fu sicuramente una grande rinuncia, che egli stesso negli ultimi mesi di vita sentì.

Resta tuttavia da dire che il secolo che fu il suo non ha forse prodotto molti casi di personalità così moderne e complete, in cui tutto tornasse con coerenza di visione e forza di azione realizzatrice, pur tra difficoltà estreme.
Sicchè ancora oggi si può toccare con mano, guardando alla sua figura, alle realizzazioni ad Ivrea e all'azione culturale condotta nel Paese, che cosa l'Italia avrebbe potuto essere se fosse stata condotta, nell'urbanistica, nella difesa dell'ambiente, nell'architettura, nelle varie forme di progettazione, nella concezione di una diffusa azione editoriale fondata sulle idee, nell'aggressione di situazioni sociali affrontate con spirito di equità, di rispetto per il lavoro, di innovazione e modernità, di passione idealista, quale altro paese potremmo trovarci ad abitare, quale cultura a vivere, di quali speranze nutrire chi viene dopo di noi.

articolo di Renzo Zorzi tratto da La Sentinella del Canavese

Adriano Olivetti


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