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Treviso: la dignità della persona anche di fronte alla morte.
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Giorni fa avevo annunciato l'iniziativa dell'associazione LA GINESTRA per l'istituzione anche a Treviso di un luogo pubblico aperto a tutti per i riti dell'addio nel rispetto delle diverse culture. In particolare avevo preannunciato una tavola rotonda, per il 5 novembre, sul tema "Tanti modi per dire addio - Persone e culture diverse di fronte alla morte."
Su IL GAZZETTINO - edizione di Treviso - del 13 novembre ho trovato una eco di quell'avvenimento grazie all'intervento di Alessandro Casellato (dell'associazione La Ginestra), che ritengo opportuno riportare integralmente. |
Perché cento persone sono venute, una sera di novembre, in una Treviso fredda e deserta, ad una tavola rotonda sui "Tanti modi di dirsi addio: culture e persone diverse di fronte alla morte"? Non un manifesto è stato stampato, nessuna inserzione è stata pubblicata (per la verità Il Gazzettino ha presentato l'appuntamento ndr); neppure un nome famoso è stato usato come richiamo per il pubblico.
E' bastato il passa-parola, e la scelta di un tema in apparenza scomodo, ma in realtà "scandoloso" per la nostra città.
I primi ad esserne stupiti sono stati gli organizzatori. Cioè noi, che da pochi mesi abbiamo costituito l'associazione La Ginestra, proprio per favorire la riflessione laica sulla morte, e soprattutto per rendere possibile la celebrazione dei riti dell'addio (i funerali, non dobbiamo avere paura di questa parola) anche per chi non si riconosca in una chiesa.
Non è facile parlare della morte nella nostra società: il comune sentire la rimuove, ne fa oggetto al più di scongiuri e gesti scaramantici. Ma se si scava un attimo, appena si cerca un rapporto personale e si sollecita il dialogo faccia a faccia, il sipario dell'irrisione cade e subentra la sintonia, la condivisione verso un'esperienza di cui bene o male tutti siamo partecipi.
Ce ne siamo resi conto per la prima volta la scorsa primavera, quando un gruppetto minuscolo di persone ha raccolto in un mese più di duemila firme di trevigiani che chiedevano di poter celebrare funerali non confessionali. Cioè chiedevano che anche la città di Treviso abbia una "sala civica del commiato", dove persone di qualsiasi credo, cultura e provenienza possano ricevere dignitosamente l'ultimo saluto (che per ora è concesso loro solo nel parcheggio dell'obitorio, tra le auto.)
Pochi giorni fa questa domanda è stata rinnovata ed arricchita, se possibile di esperienze e sfumature, grazie alle testimonianze di tante persone, diverse per estrazione culturale e provenienza, che hanno partecipato alla tavola rotonda "Tanti modi di dire addio". Franco Callea, del centro buddhista di Treviso, Abdallah Khezraji, cittadino marocchino che vive a Ponte di Piave, Giancarlo Sonnino, nato ad Ancona da una famiglia ebrea ed insegnante al liceo "Berto" di Mogliano, Maria Luisa Peraro, infermiera, studiosa di storia e rappresentante della "Società per la cremazione", hanno raccontato come, qui ed ora, la morte di un amico o di un congiunto produca differenti gesti, parole, pratiche rituali legate all'ultimo saluto.
Molti sono stati gli interventi del pubblico, interessati a capire, a problematizzare, a portare ulteriori testimonianze. E' mancata - non per volontà degli organizzatori - una presenza "ufficiale" di parte cattolica. Ma a questo hanno sopperito proprio gli interventi di quanti hanno ricordato le esperienze di tolleranza e di apertura di cui è portatrice la chiesa cattolica, anche nel dialogo con chi cattolico non è.
Tra il pubblico, alcuni rappresentanti dell'associazionismo: Gianni Rasera, presidente di "Fratelli d'Italia", il coordinatore tra le associazioni che si occupano di immigrati; Anna Mancini e Gigi Colusso, dirigenti dell'"Advar", che si occupa dell'assistenza volontaria ai malati terminali; Maria Letizia Chiavellati, presidente dell'associazione "A light for hope", per il dialogo interreligioso; Antonietta Mariotti, dirigente dell'Auser regionale e dell'Università popolare di Treviso; Roberto Cargnelli, presidente di "Adelma", associazione per il mutuo aiuto tra persone colpite dal lutto.
Persone diverse, dunque, ma unite nell'ascolto reciproco, e nella richiesta unanime di avere finalmente a disposizione quella "sala del commiato", luogo civico aperto a tutti, nel nome della dignità della persona e dell'uguaglianza dei cittadini almeno di fronte alla morte. Gli interlocutori sono le pubbliche amministrazioni: innanzi tutto il Comune di Treviso e l'Usl trevigiana, chiamate a tutelare questo diritto minimo di civiltà.
Fino ad ora esse hanno negato (Usl) o hanno eluso (Comune) questa richiesta. Ma la forza di chi sente di avere una buona ragione da difendere e un diritto conculcato da rivendicare, sarà sempre più forte delle inerzie, della pavidità e del quieto vivere di coloro che detengono il potere e negano quel diritto e quella ragione.
Ed è proprio questo, in ultima istanza, il motivo per cui cento persone sono venute, una sera di novembre, in una Treviso fredda e deserta, ad una tavola rotonda sui "Tanti modi di dire addio". Perché è una buona causa a cui dedicare alcune ore del proprio tempo. Perché esiste a Treviso una società civile calda ed accogliente. Perché è possibile - anzi, è la cosa più normale di questo mondo - mettere attorno ad un tavolo persone di fedi e culture diverse a parlare, a commuoversi ed anche a ridere, insieme, persino della morte.
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